L’embolizzazione è una tecnica di radiologia interventistica in cui si occlude un vaso sanguigno, un’arteria o una vena, interrompendo il flusso di sangue. È usata per fermare un sanguinamento o eliminare una lesione. Viene eseguita assieme ad un’angiografia.

Può avere due scopi:

Indice
  • 1 I diversi tipi di embolizzazione
  • 2 Cos’è l’embolizzazione endovascolare
  • 3 Cos’è la chemioembolizzazione
  • 4 Quando si effettua l’embolizzazione
  • 5 Come si effettua l’embolizzazione
  • 6 Fonti

I diversi tipi di embolizzazione

La tecnica dell’embolizzazione negli anni ha visto numerosi sviluppi derivati e tecniche verticali adottate per curare determinate patologie. Tra le principali nominiamo:

Cos’è l’embolizzazione endovascolare

L’embolizzazione endovascolare consiste nell’introduzione mediante catetere di un oggetto solido (particelle di vari materiali, spirali metalliche) o di una sostanza liquida (per esempio alcol etilico o una colla cianoacrilica) nel vaso sanguigno che deve essere occluso. Poiché in medicina ogni corpo (solido, liquido o gassoso) in grado di occludere un vaso sanguigno è chiamato “embolo”, l’intervento prende il nome di embolizzazione. A seconda dell’agente embolizzante che viene utilizzato l’occlusione può essere temporanea o definitiva; la scelta dell’agente embolizzante dipende dall’effetto terapeutico desiderato.

L’embolizzazione endovascolare è stata sviluppata negli anni Sessanta del secolo scorso e ha guadagnato popolarità a partire dagli anni Settanta. In molti casi è andata a sostituire interventi chirurgici tradizionali. I vantaggi di questa procedura endovascolare sono una minore invasività, minori complicanze, tempi di ricovero e di recupero più brevi e minori costi sanitari. A volte l’embolizzazione è eseguita prima di un intervento chirurgico (per esempio quando si procede alla rimozione chirurgica di un tumore molto vascolarizzato) o dopo l’intervento, a suo completamento. Una resezione epatica viene spesso fatta precedere dall’embolizzazione della vena porta.

Cos’è la chemioembolizzazione

La chemioembolizzazione o chemioembolizzazione trans-arteriosa (TACE, dall’inglese TransArterial ChemoEmbolization) è un tipo di embolizzazione usata nel trattamento dei tumori del fegato. In questa procedura si inietta nell’arteria che alimenta il tumore un farmaco chemioterapico miscelato a olio iodato (l’olio aiuta a trattenere il farmaco nella lesione tumorale) oppure delle microsfere “caricate” con il farmaco chemioterapico (le microsfere rilasciano poi lentamente il farmaco nel corso di diversi giorni) e poi il vaso viene temporaneamente occluso con un frammento di una speciale spugna o particelle di alcol polivinilico.

La TACE fa parte, assieme alla termoablazione e alla radioembolizzazione, dei trattamenti loco-regionali per il tumore del fegato, in cui il tumore è distrutto lasciandolo nella sua sede. Questo tipo di trattamenti consente di risparmiare al paziente effetti tossici a livello sistemico. Le probabilità di successo aumentano se il tumore è ancora relativamente piccolo.

Quando si effettua l’embolizzazione

Le principali applicazioni dell’embolizzazione includono il trattamento di:

  • fibromi uterini, l’embolizzazione dell’arteria uterina è un’opzione per l’eliminazione dei fibromi uterini alternativa alla miomectomia e all’isterectomia (l’asportazione totale dell’utero);
  • varicocele, si occludono i vasi sanguigni che sono responsabili dell’eccessiva raccolta di sangue all’interno del testicolo;
  • neoplasie benigne (es. angioma) e maligne (es. metastasi ossee);
  • malformazioni vascolari congenite o acquisite;
  • aneurismi;
  • emorragie, sia emergenze emorragiche (es. emorragia post-partum, emottisi massiva) che emorragie di altro tipo (es. sanguinamenti gastrointestinali);

Come si effettua l’embolizzazione

L’embolizzazione endovascolare viene eseguita contestualmente a un’angiografia percutanea, un esame radiologico con cui si visualizzano i vasi sanguigni. Prima dell’intervento il paziente viene sottoposto ad alcuni esami preoperatori di routine (emocromo, esami ematochimici per escludere problemi di coagulazione del sangue…) e ad altri esami strumentali necessari per valutare la localizzazione e le caratteristiche della lesione da eliminare (per esempio un’ecografia o una risonanza magnetica dell’utero nel caso della rimozione di fibromi uterini).

Il paziente, a digiuno da almeno 8 ore, viene disteso su un tavolo per radiografie. La procedura viene effettuata in anestesia locale, ma può essere somministrato un sedativo per facilitare il rilassamento. Si effettua una piccola incisione nell’inguine (meno frequentemente nel braccio o nell’ascella) e, sotto la guida di un fluoroscopio, si inserisce un catetere (un tubicino flessibile) fino a raggiungere la lesione da embolizzare. Si inietta quindi il mezzo di contrasto radiopaco per l’angiografia; il mezzo di contrasto è una sostanza a base di iodio che appare opaca nelle radiografie consentendo di visualizzare in modo dettagliato la vascolarizzazione della lesione. Una volta accertato che la procedura sia fattibile, si inserisce nel catetere l’agente embolizzante per occludere i vasi. Se il catetere è stato inserito in un’arteria, dopo la sua rimozione il punto di inserimento va compresso per 10-20 minuti per ridurre il sanguinamento e la formazione di un ematoma. Per prevenire il sanguinamento può essere necessario anche rimanere distesi supini per qualche ora. I tempi di degenza dipendono dal tipo di intervento effettuato.

Nella sede di ingresso dei cateteri possono verificarsi complicanze tipiche dell’angiografia, come ematomi, pseudoaneurismi (dilatazioni delle arterie), fistole artero-venose (ponti di collegamento fra arterie e vene) o infezioni. In rari casi dopo l’embolizzazione si possono verificare complicanze (ischemie, ulcere cutanee, lesioni nervose) dovute allo spostamento accidentale degli agenti embolizzanti in distretti vascolari diversi da quello da trattare. Poiché si utilizzano radiazioni ionizzanti la procedura è in genere controindicata in gravidanza.

Fonti