Malattia da virus Ebola
L’ebola, o malattia da virus Ebola, è una grave malattia di origine virale. Il virus causa una malattia sistemica, vale a dire che coinvolge tutto l’organismo, caratterizzata da gravi perdite di liquidi ed elettroliti e risposte infiammatorie abnormi. Il tasso di mortalità è altissimo, e può superare l’80%.
Da quando, nel 1976, sono stati identificati gli ebolavirus, si sono verificate oltre 20 epidemie, principalmente in aree rurali di Sudan, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Gabon. L’epidemia più grave si è verificata nel 2013-2016 in Guinea, Sierra Leone e Liberia, coinvolgendo sia aree rurali che urbane, con più di 28.000 casi e oltre 11.000 decessi documentati. Fuori dal continente africano sono stati riportati alcuni casi in Europa e negli Stati Uniti riconducibili a viaggiatori che provenivano dall’Africa.
- 1 Quali sono le cause dell’ebola?
- 2 Come si trasmette l’ebola?
- 3 Quali sono i sintomi dell’ebola?
- 4 Come si effettua la diagnosi di ebola?
- 5 Come si cura l’ebola?
- 6 Quali sono le conseguenze dell’ebola?
- 7 Fonti
Quali sono le cause dell’ebola?
Gli ebolavirus sono virus a RNA che appartengono alla famiglia Filoviridae. Sono endemici nelle regioni dell’Africa occidentale ed equatoriale. Ne sono stati identificate cinque specie di cui quattro sono note per essere state causa di epidemie nell’essere umano.
Come si trasmette l’ebola?
L’ebola è una zoonosi, cioè una malattia degli animali che occasionalmente può essere trasmessa all’uomo. Il serbatoio naturale del virus non è stato identificato con certezza, ma si pensa che si possa trattare dei pipistrelli della frutta della famiglia Pteropodidae. Probabilmente gli esseri umani, ma anche i grandi primati (orangotango, gorilla, scimpanzé, bonobo), si infettano venendo a contatto con animali malati o carcasse di animali infetti.
La trasmissione tra esseri umani avviene principalmente per contatto diretto o indiretto con sangue e altri fluidi corporei di soggetti infetti; il virus può essere rilevato, oltre che nel sangue, anche nella saliva, nelle lacrime, nelle urine, nel liquido amniotico, nel latte, nel liquor, nelle secrezioni vaginali e nel liquido seminale. L’infezione può essere trasmessa per via sessuale. Prendersi cura dei malati e gestire i cadaveri sono situazioni ad altissimo rischio, il che spiega perché spesso la malattia si diffonde negli ospedali prima che venga individuato il focolaio di malattia.
Indipendentemente dalla gravità della malattia, il virus tende a persistere nell’organismo, all’interno dei cosiddetti siti immunoprivilegiati, dove non si hanno forti reazioni immunitarie, come l’occhio, il sistema nervoso centrale e i testicoli. Il liquido seminale può contenere tracce di virus per molti mesi dalla risoluzione della malattia acuta e la trasmissione per via sessuale è possibile anche dopo più di un anno dall’infezione. Sono stati riportati casi di trasmissione con l’allattamento al seno, tuttavia non si sa per quanto tempo il virus venga rilasciato nel latte materno.
Quali sono i sintomi dell’ebola?
Dopo un periodo di incubazione di 2-21 giorni compaiono sintomi aspecifici:
- febbre;
- malessere;
- profonda stanchezza;
- dolori muscoloscheletrici.
Dopo pochi giorni, compaiono sintomi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea. Altri sintomi più rari sono tosse, dispnea, singhiozzo, arrossamento degli occhi e dolore localizzato al petto, all’addome, ai muscoli o alle articolazioni.
Possono manifestarsi fenomeni emorragici, compresi sanguinamento congiuntivale, a causa della rottura dei capillari dell’occhio, ma anche petecchie, cioè dei piccoli accumuli di sangue sotto la pelle, che appaiono come macchie rotonde e piatte della dimensione di pochi millimetri, ed infine sanguinamento gastrointestinale, sanguinamento delle mucose e sanguinamento persistente dopo iniezione endovena.
La perdita di liquidi può essere importante, anche 5-10 litri al giorno, e portare allo shock ipovolemico. In questa situazione si assiste ad un crollo del volume dei liquidi corporei, compreso quello del sangue, e il cuore non riesce più a inviare ai tessuti l’ossigeno necessario a sostenere le funzioni vitali. L’ipovolemia e la risposta infiammatoria abnorme causano un’insufficienza multi-organo che risulta fatale in un’alta percentuale di casi: nell’epidemia del 2013-2016, sono deceduti due pazienti su tre. I soggetti maggiormente a rischio di esito fatale sono i bambini con meno di 5 anni. Le donne in stato di gravidanza hanno un elevato rischio, oltre che di morte, di andare incontro ad aborto spontaneo o di dare alla luce un bambino morto.
Come si effettua la diagnosi di ebola?
In passato l’individuazione degli ebolavirus si basava su tecniche microbiologiche che utilizzavano colture cellulari. A partire dall’epidemia del 2013-2016 si usa un test molecolare basato sulla tecnica della polymerase chain reaction (PCR), generalmente condotto su un campione di sangue. Quando il paziente si presenta in ospedale, dopo 3-6 giorni dall’esordio dei sintomi, la carica virale nel sangue (viremia) è quasi sempre sufficientemente alta perché il test risulti positivo; se il risultato è negativo, ma il sospetto di malattia rimane, si ripete il test nei tre giorni successivi. La carica virale dei pazienti che muoiono a causa dell’infezione è in genere 10-100 volte più alta di quella dei pazienti che sopravvivono.
Nei soggetti che hanno un’infezione asintomatica o paucisintomatica, e che in genere hanno una carica virale estremamente bassa, la diagnosi può essere fatta con un test sierologico, misurando gli anticorpi (IgM e IgG) che si sviluppano dopo circa 3 settimane dall’infezione.
Come si cura l’ebola?
Sono in fase di studio diversi farmaci, in particolare degli anticorpi monoclonali, ma al momento non esiste un rimedio specifico per l’ebola. Si ricorre a terapie di supporto, in primo luogo a terapie reidratanti orali o endovenose quando il paziente è troppo debole o incosciente, al fine di reintegrare i liquidi persi.
La mortalità è più bassa per i pazienti curati nelle unità di terapia intensiva rispetto a quelli curati sul campo, presumibilmente perché i primi hanno accesso a strategie di sostituzione d’organo come la dialisi, la ventilazione meccanica e il supporto emodinamico.
Sono in fase di studio molteplici vaccini per prevenire l’infezione. Un vaccino chiamato rVSV-ZEBOV ha dato buoni risultati in uno studio condotto in Guinea nel 2015 ed è stato usato per vaccinare oltre 275.00 persone nella Repubblica Democratica del Congo durante l’epidemia iniziata nel 2018; la campagna di vaccinazione ha coinvolto, oltre ai contatti stretti dei malati e al personale sanitario, anche altre figure, come guaritori o leader religiosi, che fanno visita ai malati e che partecipano ai funerali, esponendosi a situazioni particolarmente rischiosa; nel 2019 il vaccino ha ricevuto l’approvazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dell’agenzia regolatoria statunitense (FDA).
Quali sono le conseguenze dell’ebola?
Chi sopravvive alla malattia può riportare delle conseguenze a lungo temine come dolori articolari persistenti, artrite, disturbi uditivi e un’uveite che può causare la cecità. Inoltre, non vanno sottovalutati gli strascichi psicologici per chi ha vissuto un’esperienza spesso devastante per sé, la famiglia e la comunità.
Fonti
- Malvy D, et al. Ebola virus disease. 2019;393(10174):936-948. doi:10.1016/S0140-6736(18)33132-5
- Jacob ST, et al. Ebola virus disease. Nat Rev Dis Primers. 2020;6(1):13. doi:10.1038/s41572-020-0147-3
- Istituto Superiore di Sanità – Malattia da virus Ebola