La radioembolizzazione è una radioterapia usata per curare i tumori del fegato. È indicata per i pazienti che non possono essere sottoposti all’asportazione chirurgica del tumore. Consiste nella somministrazione per via transarteriosa di microsfere caricate con ittrio-90. L’alta dose radioterapica viene concentrata in corrispondenza del tumore, risparmiando il tessuto sano.

Indice
  • 1 A cosa serve la radioembolizzazione
  • 2 A chi è utile la radioembolizzazione
  • 3 Come si esegue la radioembolizzazione
  • 4 La radioembolizzazione fa male?
  • 5 Cosa succede dopo il trattamento
  • 6 Fonti

A cosa serve la radioembolizzazione

La radioembolizzazione o radioembolizzazione transarteriosa (TARE, dall’inglese Trans-Arterial Radio-Embolization) è una tipologia di embolizzazione che utilizza la tecnica radioterapica per trattare tumori del fegato. È chiamata anche radioterapia interna selettiva (SIRT, Selective Internal Radiation Therapy).

Consiste nell’iniezione di vere e proprie biglie caricate con un isotopo radioattivo, l’ittrio-90 (90Y). Si utilizzano sfere di vetro o di resina del diametro di poche decine di micron (un micron corrisponde a un millesimo di millimetro). Quelle di vetro sono un po’ più piccole, sono più radioattive e se ne usano 1-8 milioni per dose, mentre di quelle di resina se ne usano 40-80 milioni per dose. Dopo l’iniezione, la distribuzione delle microsfere radioattive può essere controllata mediante tomografia a emissione di positroni (PET).

Le biglie si accumulano nel fegato e le radiazioni emesse dall’ittrio-90 distruggono il tumore. Queste radiazioni sono in grado di penetrare i tessuti fino a uno spessore massimo di circa 1 cm, perciò colpiscono il tumore risparmiando la maggior parte del tessuto sano. La bassa penetrazione dei tessuti dell’ittrio-90 evita ai familiari del paziente e a coloro che vi vengono a contatto l’esposizione alle radiazioni. La somministrazione transarteriosa viene fatta introducendo in una grossa arteria, in genere quella femorale, un microcatetere che viene fatto risalire attraverso l’aorta fino a raggiungere i vasi arteriosi che nutrono il tumore.

La radioembolizzazione fa parte dei trattamenti loco-regionali per il tumore del fegato, in cui il tumore è distrutto lasciandolo nella sua sede. Altri trattamenti possibili sono la termoablazione e la chemioembolizzazione trans-arteriosa (TACE, dall’inglese TransArterial ChemoEmbolization). Questo tipo di trattamenti consente di risparmiare al paziente effetti tossici a livello sistemico. Le probabilità di successo aumentano se il tumore è ancora relativamente piccolo.

A chi è utile la radioembolizzazione

La radioembolizzazione rappresenta un’opzione di trattamento per i pazienti con un tumore primitivo o secondario del fegato. I tumori epatici primitivi, vale a dire tumori che hanno avuto origine nel fegato, comprendono il carcinoma epatocellulare, il più diffuso in assoluto, e il colangiocarcinoma intraepatico. Un tumore epatico secondario corrisponde a una metastasi al fegato, cioè una massa di cellule tumorali che ha avuto origine da una cellula di un tumore sviluppatosi in un altro organo, per esempio il colon o il seno, che è migrata nel fegato dove si è moltiplicata. Come altri trattamenti loco-regionali, la radioembolizzazione è utile quando l’asportazione chirurgica del tumore non è tecnicamente fattibile o l’intervento chirurgico è controindicato per esempio perché dopo l’intervento rimarrebbe troppo poco tessuto sano e il paziente rischierebbe l’insufficienza epatica.

Come si esegue la radioembolizzazione

La radioembolizzazione epatica viene eseguita in due step:

  • uno step preparatorio;
  • e lo step della procedura terapeutica vera e propria.

Il paziente viene prima di tutto sottoposto a una procedura (angiografia epatica) che consente di esaminare la rete vascolare del fegato. Se ci sono anomalie per cui il sangue può passare dal fegato allo stomaco (shunt epatogastrici), i vasi coinvolti vanno chiusi per evitare che il radiofarmaco arrivi allo stomaco. Utilizzando delle particelle marcate con tecnezio-99m (99mTc) che hanno dimensioni molto simili alle microsfere marcate con ittrio-90 si valuta come si distribuirà il radiofarmaco. Se ci sono delle comunicazioni anomale tra arterie epatiche e polmonari (shunt epato-polmonari) che favoriscono la diffusione delle particelle ai polmoni occorre valutare se l’esposizione polmonare alle radiazioni è sotto una certa soglia di sicurezza, in caso contrario il paziente non potrà essere sottoposto alla radioembolizzazione. Se è possibile procedere, dopo una settimana o due, posizionando il catetere esattamente nella stessa posizione usata nella procedura preparatoria, al paziente vengono iniettate le microsfere caricate con ittrio-90. Dopo circa un mese e mezzo si valuta la risposta al trattamento eseguendo una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica.

La radioembolizzazione fa male?

Il trattamento può provocare malessere o dolori addominali che possono essere alleviati con gli antidolorifici.

Cosa succede dopo il trattamento

Anche se in altri paesi la radioembolizzazione viene eseguita in day hospital, in Italia si preferisce un breve ricovero precauzionale. Dopo il trattamento il paziente emetterà bassissimi livelli di radiazioni per circa una settimana, senza però costituire un pericolo per i familiari e per le altre persone che lo avvicinano dato che le radiazioni non escono dal suo corpo. In base alla risposta e alle condizioni del paziente, il trattamento può essere ripetuto, anche se questo aumenta il rischio di provocare una malattia del fegato da radioembolizzazione.

Fonti