La chirurgia coronarica, nota anche come rivascolarizzazione miocardica, è il trattamento principale per la malattia coronarica da più di 50 anni. L’intervento di chirurgia coronarica più diffuso, inserito nella pratica clinica a partire dagli anni ’60, è il bypass aorto-coronarico. In alternativa, dagli anni ’80, viene utilizzata la procedura coronarica percutanea (percutaneous coronary intervention), nota anche come angioplastica coronarica.

Indice
  • 1 Quando viene praticata la chirurgia coronarica?
  • 2 Come funziona la chirurgia coronarica
  • 3 Preparazione, intervento e post-operatorio nella chirurgia coronarica
  • 4 Fonti

Quando viene praticata la chirurgia coronarica?

Entrambe le tecniche di rivascolarizzazione sono utilizzate quando si verifica l’occlusione di una o più arterie coronarie, i vasi che portano il sangue ossigenato al cuore. L’ostruzione delle arterie coronarie diminuisce l’apporto di ossigeno e compromette il funzionamento del cuore, causando cardiopatia ischemica, angina pectoris e infarto miocardico.

Nella maggior parte dei pazienti le lesioni che occludono i vasi coronari possono essere facilmente identificate tramite angiografia. In alcune situazioni, può essere necessaria anche una valutazione funzionale, che si ottiene tramite tecniche di imaging non invasivo oppure con tecniche invasive. Grazie ai progressi tecnologici, è possibile applicare l’angioplastica coronarica nella maggior parte dei casi.

Tuttavia, la valutazione complessiva, che tiene conto anche della presentazione clinica, del grado di severità dell’angina, dell’entità dell’ischemia, della risposta alla terapia medica e dell’estensione della patologia coronarica all’angiografia, fa propendere in alcuni casi per l’intervento chirurgico tramite bypass.

Come funziona la chirurgia coronarica

Le due strategie utilizzate per la rivascolarizzazione coronarica presentano delle differenze.

  • Langioplastica coronaria utilizza un catetere per posizionare uno stent, ovvero una piccola protesi che viene inserita all’interno del vaso coronarico, con lo scopo di ripristinare il normale flusso sanguigno nel circolo. È un intervento meno invasivo ma non offre protezione contro il possibile sviluppo di occlusione nel segmento vicino allo stent.
  • Nel caso del bypass aorto-coronarico i nuovi circoli sanguigni sono ricreati attraverso dei graft, ovvero attraverso innesti di vasi prelevati dal paziente stesso. Le arterie che vengono utilizzate per ripristinare il circolo sanguigno sono l’arteria mammaria interna (o toracica interna) e l’arteria radiale (la principale arteria dell’avambraccio). Tra i vasi venosi si usa principalmente la vena safena, che viene prelevata da una gamba. L’innesto è posizionato nel tratto centrale del vaso coronarico, favorendo l’apporto di nutrienti al miocardio attraverso il sangue e proteggendo da una eventuale occlusione dell’arteria.

Preparazione, intervento e post-operatorio nella chirurgia coronarica

Prima dell’intervento, nei pazienti che assumono betabloccanti la terapia non deve essere interrotta per evitare episodi di ischemia acuta. Per l’intervento chirurgico, la tecnica tradizionale avviene a cuore fermo: il cuore viene fermato con una soluzione cardioplegica e il paziente viene collegato a un dispositivo che ne sostituisce le funzioni producendo una circolazione extracorporea (o anche “macchina cuore-polmone”). Da diversi anni esiste anche la possibilità di eseguire l’intervento a cuore battente, senza dover ricorrere alla circolazione extracorporea ma utilizzando uno stabilizzatore cardiaco.

Una delle tecniche più recenti, la MIDCAB (Minimally Invasive Direct Coronary Artery Bypass Surgery), può essere effettuata a cuore aperto e consiste nel praticare una piccola incisione di pochi centimetri, riducendo il rischio di infezioni e di mortalità successive all’intervento. Esistono inoltre delle forme di rivascolarizzazione miocardica definite “ibride” (Hybrid coronary revascularization), che prevedono la combinazione tra l’angioplastica coronarica e la cardiochirurgia a cuore aperto con accesso mini-invasivo.

Dopo l’intervento il paziente viene portato in terapia intensiva post-operatoria dove, per 12-24 ore vengono controllati tutti i parametri vitali, in particolare la pressione e la frequenza cardiaca. In genere le dimissioni avvengono cinque o sei giorni dopo l’intervento. Le complicazioni legate alla chirurgia coronarica possono essere difficoltà di respirazione, sanguinamenti, infezioni, ipertensione, aritmie.

Altri disturbi, tra i quali perdita di appetito, difficoltà nell’addormentarsi, costipazione, cambiamenti di umore, dolori muscolari, difficoltà di concentrazione e affaticamento in genere scompaiono entro 4 o 6 settimane dopo la chirurgia coronarica.

A tre mesi dall’intervento la mortalità è di circa l’1% ed è associata a ictus, insufficienza renale, respiratoria e cardiaca, sanguinamenti e infezione della ferita.